La strana vicenda del Titan – sottomarino privato che permetteva a facoltosi turisti di visitare il relitto del Titanic, a circa 3.800 metri di profondità – ha avuto un esito tragico per quanto scontato: il sottomarino sarebbe collassato e tutti i suoi passeggeri sono morti.
Hanno perso la vita in tutto cinque persone, tra cui il pilota del mezzo. I passeggeri avevano pagato la stratosferica cifra di 250 mila dollari per prendere parte alla spedizione, che (come sta emergendo in queste ore) era considerata un vero e proprio azzardo anche per via del fatto che la struttura del mezzo non era ritenuta idonea per tali profondità.
Vorre aprire una parentesi sulla gravità del fatto che sempre più aziende tendono ad assumere ingegneri e tecnici “di parte”, e dunque propensi a dispensare pareri favoreli anche in situazioni di estremo pericolo come in questo caso. Ma mi dilungherei troppo.
Volendo restare sulla questione, mi hanno particolarmente stupito due cose di questa tragica notizia. La prima, è l’eco mediatico che ha avuto un po’ tutto il mondo. Un eco decisamente spropositato, che si allaccia però al macabro interesse che il pubblico nutre per queste tragedie.
Il secondo, invece, riguarda il dispiegamento di unità di ricerca messe in moto per tentare di individuare i dispersi. Diverse navi delle marine militari di due paesi (Stati Uniti e Canada) assieme ad aerei ed elicotteri dotati di sofisticatissime tecnologie: il tutto per salvare cinque persone, che con tutta probabilità sono morte sul colpo senza neppure accorgersi di nulla.
Sia ben chiaro, il tentativo andava fatto ed è stato giustissimo. Mi domando però perché tutto questo dispiegamento di forze di soccorso e salvataggio non si vede mai quando in mare ci sono migranti, e non milionari.
I primi li lasciamo affondare impunemente, i secondi li tentiamo di salvare anche ad oltre tremila metri di profondità: una missione impossibile che tuttavia è stata tentata solo per queti facoltosi defunti, mentre per tutti gli altri…
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