Le dimissioni di Mario Draghi erano nell’aria, e davvero in pochi hanno creduto ad un possibile passo indietro dell’ex banchiere centrale, che di fatto non è avvenuto. Questa mattina Sergio Mattarella ha reso ufficiale il voto del prossimo 25 settembre, un record di velocità dovuto alle scadenze internazionali.
Il timore diffuso riguarda tutto ciò che è legato all’erogazione dei fondi del Pnrr: l’Italia deve approvare una serie di riforme per vedersi garantiti parte dei fondi, e deve farlo entro la fine dell’anno. Probabilmente ciò sarà possibile grazie a questi due mesi di lavoro “tecnico” dell’esecutivo, che verosimilmente programmerà gran parte delle carte per avvantaggiare chi andrà al governo.
Già, chi andrà al governo? Perché – diciamocelo senza giri di parole – questa crisi non è nata per l’antipatia verso Draghi o per l’insofferenza del Movimento 5 Stelle riguardo alle loro richieste: questa crisi nasce dal tentativo di capitalizzare i consensi, un gesto estremo per potersi presentare alle urne come “alternativa”.
Non c’è dunque da stupirsi se, alla fine della fiera, la bomba innescata da Giuseppe Conte sia deflagrata grazie all’aiuto del trio destrorso composto da Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni: quest’ultima ha fatto da traino a tutto il centro-destra, forte dei sondaggi che la vedono alla pari con il Partito Democratico, riuscendo a far prevalere la sua linea dopo il recente ridimensionamento della destra alle scorse elezioni amministrative.
La destra, insomma, è certa di riuscire ad andare al Governo. Da qui nasce la fiducia-sfiducia e le dimissioni, non da altre logiche o altri discorsi. Daltronde la politica è tutta una questione di opportunità.
E qui si incastra la considerazione finale del discorso: a che serve avere un mandato di governo della durata di 5 anni, se poi ogni 2-3 anni i vari partiti innescano una crisi che porta a governi tecnici o al voto? A che serve parlare di responsabilità della politica, se poi i politici sono i primi a far cadere un governo con il solo obiettivo di andare a elezioni anticipate?
In questo caso, la situazione è doppiamente grave: sia per le difficili circostanze del momento, sia perché le elezioni si sarebbero comunque tenute il prossimo anno, nel 2023: davvero i partiti non potevano aspettare qualche mese? Era davvero necessario far cessare la legislatura, o tutto rientra in un quadro di strategia politica?
La cosa è abbastanza ovvia, ed ha colto di sorpresa – probabilmente – anche lo spaesato Giuseppi, che ora si troverà porte sbarrate a ogni dove, perché il Movimento 5 Stelle rimarrà agli atti come il mandante della morte del governo Draghi. Lo stesso avvocato si starà chiedendo perché ha dato retta a chi lo ha consigliato in questo senso, intuendo (si spera) di essere finito a sua volta in un tranello.
Adesso non ci resta che goderci l’estate ed aspettare l’arrivo, imminente della campagna elettorale. Che il centro-destra si riesca a mettere d’accordo, ora, è tutto da vedere. Ma è da vedere anche cosa farà il centro-sinistra, dove andrà il Pd: saprà arginare l’ondata della Meloni?
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