Poco fa il corriere mi ha consegnato due pacchi che attendevo impazientemente: due scatoli neanche troppo grandi, che contengono il frutto di un lavoro durato qualche anno, iniziato durante il primo lockdown.
Il corriere si è meravigliato del peso degli scatoli. “Sono troppo pesanti per essere dei rubinetti“, mi ha detto. Alla mia richiesta di spiegazioni, mi ha fatto notare che – a suo dire – sul nastro adesivo c’era scritto “rubinetterie“. Gli ho detto che erano dei miscelatori per delle vasche da bagno.
Al netto di questo siparietto comico, si tratta del proverbiale peso della cultura. Questi scatoli contenevano le copie del mio nuovo libro, che da qui a qualche giorno sarà disponibile per la vendita. È sempre un piacere, un orgoglio, riuscire a fare qualcosa di valido. Farsi notare da un editore, farsi pubblicare, farsi correggere.
Tutto ciò vuol dire aver fatto un lavoro valido, essere riusciti anche in questo dopo l’esperienza dell’autopubblicazione (che non ho abbandonato, anzi: ho altro in cantiere). Resta però quel senso straniante di aver badato ad un vezzo nel bel mezzo di un momento così delicato.
Adesso, però, ho tante, troppe copie del libro. Vanno vendute. Vanno smerciate. Vanno distribuite. Il lavoro non è finito. Anzi, il grosso del lavoro è appena cominciato.
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