C’è un aspetto del cortometraggio di Muccino che ha scatenato mezza regione: non tanto i nomi improbabili, l’asino o la coppola, ma la famigerata soppressata al finocchietto citata da una delle attrici, che ha generato ire e ilarità perché sembrerebbe un prodotto mitologico. Qualcuno l’ha definita nù tarallu, qualcun altro è addirittura arrivato ad affermare, un po’ saccentemente, che è una roba che non esiste.
Ora, il cortometraggio non è piaciuto neppure al sottoscritto, ma bisogna prendere le giuste difese, perché in Calabria abbiamo un bruttissimo difetto: conosciamo solo il “tipico” delle nostre zone, e spesso ignoriamo i prodotti dei comuni vicini. E la soppressata al finocchietto è un lampante esempio di “campanilismo gastronomico“, tipico di chi, come noi crotonesi, pensiamo che le salsicce siano tutte rosse o al peperoncino, e ci stupiamo di vedere quelle bianche o al pepe nero, pur sempre tipiche della Calabria.
Ma torniamo alla soppressata al finocchietto. Vi basta uscire di casa, andare al supermercato e prendere una qualunque soppressata dolce per leggere gli ingredienti. In quasi tutte quelle di largo consumo, troverete il finocchietto. Allo stesso modo, basta fare una ricerca online per scoprire che il prodotto viene venduto come tradizionale (vedasi qui e qui), perché il finocchietto si usa eccome, in quasi tutti i salumi non piccanti.
Com’è possibile che i calabresi non sappiano che la soppressata al finocchietto è, genericamente, la soppressata dolce? Mistero. Sarà che di salumi dolci non se ne mangiano, ma è grave che una delle poche cose sensate raccontate da Muccino sia stata attaccata. Dimostra che in fondo la calabria non la conosciamo neppure noi che ci viviamo.
D’altra parte, và detto che questo prodotto è tipico di una piccola parte della regione, compresa tra l’alto reggino ed il basso vibonese, ma si usa anche nel reggino jonico e nella locride. Altre attestazioni del prodotto si trovano sul versante tirrenico del Pollino, nella bassa Campania e nella Lucania. Oggi la soppressata casalinga è una vera rarità, ed in passato, oltre al finocchietto, si usavano un sacco di altre erbe selvatiche. Alla faccia dell’austera tradizione che qualcuno vorrebbe.
Riderci su fa bene. Ma ridicolizzare un prodotto tipico per ignoranza è ancor più grave di un cortometraggio discutibile.
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