Ieri sera è successo un casino, che sicuramente non sarà passato inosservato: è stato riportato da più testate online che dei cinque nuovi casi di coronavirus positivi nel crotonese, ben 4 fossero dei dipendenti del Romolo Hospital, e dunque da collegare al primo caso registrato in città. Neanche il tempo di pubblicare questi articoli, e nell’arco di qualche condivisione sono arrivate una raffica di smentite non solo tramite social, ma anche via Whatsapp, con tanto di audio minatori nei confronti di varie testate cittadine.
La caccia all’untore è uno sport nazionale, di questi tempi. E nonostante la stessa struttura ospedaliera abbia smentito ogni ricostruzione, la popolazione non desiste: su Facebook è un continuo susseguirsi di nomi e cognomi, di foto, di messaggi di allarme, di video di allerta con tanto di identikit e provenienze sospette… una follia, che ha portato l’ASP pitagorica alla decisione di querelare chiunque diffonda preventivamente notizie. Bisogna attenersi alle comunicazioni ufficiali, e non a quelle delle fonti inattendibili.
Già, ma chi sono queste “fonti inattendibili”? Com’è possibile che almeno quattro (quattro!) giornali on-line abbiano riportato la stessa notizia falsa, per poi rettificare in sordina? Perché purtroppo – diciamocelo – alla fine c’è andato di mezzo una sola testata (e relativa giornalista), che pur avendo peccato di imprudenza e fretta nella pubblicazione, non hanno fatto altro che riportare lo stesso comunicato pubblicato anche altrove. Chi ha fornito queste informazioni alla stampa?
Mistero. Così com’è un mistero il fatto che siano stati chiamati in ballo anche tutta una serie di testate che non centravano nulla (come CrotoneNews e CN24), e che ancora non avevano neppure pubblicato alcun articolo in merito alla vicenda. Cecità collettiva? Incapacità di distinguere un portale da un altro? Confusione con i nomi? Anche in questo caso, mistero.
Certo è che la stampa locale, purtroppo, si presta sempre più volentieri al gioco della gogna mediatica, della segnalazione anonima, del sospetto. Qualcuno la chiama voglia di click, ma si tratta più verosimilmente di una vorace risposta a quel famelico appetito popolare, insaziabile e vorace, quell’istinto primitivo di avere qualcuno (o qualcosa) con cui prendersela.
Nulla di troppo tecnologico. Nulla di nuovo, insomma.
Lascia un commento Annulla risposta