Nella linearità storica degli eventi si annidano spesso situazioni quantomeno curiose. Fatti che vennero sminuiti di fronte all’importanza dei vari momenti storici, ma che avvennero, e dei quali nonostante tutto si conserva una traccia, una memoria. La città di Crotone offre centinaia di aneddoti simili, ma oggi ci dedichiamo ad un periodo ben delineato: la fine della seconda guerra mondiale.
Un periodo turbolento che iniziò complessivamente nel 1943, ma che portava con sé gli strascichi di quegli anni duri e difficili, ben lontani dal paventato benessere raggiunto negli anni ’30. Sappiamo tutti che, progressivamente, anche i principali esponenti fascisti iniziarono a prendere le distanze dal regime che avevano sostenuto: un po’ per vera presa di coscienza davanti ai fatti incresciosi susseguitisi negli anni, un po’ per pararsi il culo. Era oramai prossima ed evidente la caduta dell’Italia, scossa da continui bombardamenti e rastrellamenti, ed i più iniziarono a capire che una volta cessato il regime, avrebbero dovuto fare i conti con la giustizia internazionale.
Anche per questo motivo si registrò in ogni angolo d’Italia un’inversione di tendenza, specialmente dopo l’armistizio del 1943: funzionari ed amministratori locali, podestà e vice, iniziarono ad abbandonare il PNF, a rinnegarlo, a scrivere nero su bianco che “furono costretti a farne parte“. In molti si giustificarono, e questo avvenne anche a Crotone. Ma la storia di oggi non riguarda uno dei funzionari amministrativi che per evitare la condanna (in galera o a morte) cercò di mettere le mani avanti.
Nicola Morace fù un fascista della prima ora. Attivo fin dai primi moti cittadini, fù tra i promotori dell’assegnazione della cittadinanza onoraria a Mussolini, e ricoprì l’incarico di podestà nel peggior periodo possibile: dal 1940 al 1943. Morace aveva già ricoperto l’incarico di vice-podestà, ed alle dimissioni rassegnate dal barone Pietro Giunti venne scelto senza esitazione.
La sua figura è ricordata, ancora oggi, per diverse animate discussioni avvenute con Silvio Messinetti, che ricoprì l’incarico di vice-podestà proprio sotto Morace. Le loro rivalità sono registrate nei documenti nazionali del PNF, e riguardano un argomento che oggi considereremmo poco politico: la vendita del pane. La scarsità di cibo provocò l’aumento dei mercati neri, che eludevano abbastanza facilmente il sistema di controllo locale: tutti dovevano mangiare, ed erano disposti a chiudere un occhio in cambio di un bel pane di grano.
A Crotone buona parte dei panifici operava abusivamente, e permetteva ai cittadini di prenotarsi il pane senza dover passare dall’ammasso comunale. La cosa non passò inosservata a Messinetti, che il 10 Ottobre 1940 approvò la “chiusura degli spacci di pani” in tutta la città: il pane sarebbe stato obbligatoriamente consegnato all’ammasso comunale, che lo avrebbe a sua volta redistribuito.
Morace si indispettì, se non altro perché aveva un fratello panettiere, tale Francesco Morace, e ne nacque una disputa per impedire la “chiusura” dei forni. Tuttavia, sia la sezione cittadina che quella provinciale diedero ragione a Messinetti, ed il provvedimento venne approvato. Ne nacqua una profonda frattura che si aggravò nel corso degli anni, finché il Morace non arrivò addirittura ad accusare, velatamente, i suoi compagni di partito ed i vertici regionali e nazionali, tanto da venire ufficialmente richiamato a seguito del suo discorso durante l’inaugurazione del Liceo Classico Pitagora.
La situazione nel frattempo peggiorava. La scelta di far passare il pane dall’ammasso comunale aggravò la condizione della popolazione: il poco pane prodotto non veniva smistato liberamente, e finiva per ammuffire o per essere consumato dagli animali. Il conflitto peggiorava la condizione alimentare dei crotonesi (e non solo), e la carenza di cibo divenne evidente agli stessi funzionari. Morace lamentò più volte questa condizione al comitato nazionale, senza avere tuttavia risposte.
Solo nei primi giorni dell’aprile del 1943 la città di Crotone ricevette la visita di Carlo Scorza, ultimo segretario del PNF di origine calabrese, che fece un sopralluogo nelle martoriate realtà della sua regione. Morace lo guidò per la città, nei luoghi bombardati, nelle baracche degli sfollati, e lamentò costantemente la drammatica situazione: scarseggiavano tutti i beni di prima necessità, e mancava quotidianamente il cibo. La risposta di Scorza, riportata agli atti, deve aver lasciato di stucco un po’ tutti: “mi meraviglia che nessun crotonese sia ancora morto di fame e di stenti“.
A questo punto non sappiamo cosa accadde. Le cronache popolari parlano di un’aggressione verbale del Morace – supportato da altri funzionari del PNF – nei confronti di Scorza, che lasciò la città sdegnato per la mancanza di rispetto. Altri, addirittura, parlano di una rissa sfiorata tra i due. Non lo sapremo mai. Certo è che Scorza segnalerà nuovamente il comportamento di Morace al comitato nazionale, e dopo una lunga chiamata il 14 Aprile 1943 arrivarono le dimissioni dell’ultimo podestà di Crotone.
Di segutio, il testo integrale del telegramma protocollato al Comune di Crotone il 14 Aprile 1943 e diretto al prefetto di Catanzaro:
A seguito del colloquio telefonico incorso con V.E. venerdì scorso, ho l’onore di rassegnare le dimissioni dalla carica di Podestà di questa Città, aderendo così al desiderio da Voi espresso.
Ho sempre ritenuto che la funzione della quale sono investito da tre anni, ovvero da prima della guerra, non desse luogo a riconoscimenti di sorta; ne ho avuto la conferma recentemente. Tuttavia ho la coscienza di aver adempiuto in pieno il mio dovere, epperò rientro nella vita civile nel grembo della mia famiglia con l’animo sereno e con la fronte alta. E questo basta a compensarmi ad usura delle amarezze sofferte.
Per ciò che concerne le dichiarazioni da me rese al Vice Segretario del Partito, Consigliere Nazionale Scorza, tengo a precisare che ho riferito la pura verità senza nulla aggiungere o togliere a quanto in precedenza comunicato a V.E. con riservata n. 3748 dell’11 Marzo c.a. e, come sempre, mi sono ispirato all’imperiosa necessità di esporre obiettivamente i fatti e circostanza senza di che, del resto, io avrei tradito il mio mandato.
F.to Nicola Morace
Il partito fascista non voleva credere a quanto riportato da Morace. Le parole di Scorza provocarono un vero e proprio terremoto nella sezione locale del PNF, che iniziò a veder fuoriuscire uno dopo l’altro i principali sostenitori. Il comune finì “commissariato” da Antonio Pelaggi, giunto dal catanzarese, mentre buona parte dei fascisti crotonesi iniziarono a confluire nei comitati di liberazione. Con la caduta del regime nel Luglio del ’43 ed il successivo armistizio a Settembre, il fascio di combattimento crotonese dedicato ad Antonio Cosentino si ritrovò svuotato.
Nicola Morace aderì al Partito Democratico del Lavoro (la cui sigla, curiosamente, era PDL), Silvio Messinetti invece al Partito Comunista, e nelle prime elezioni libere del 1946 divenne il primo sindaco di Crotone. Finito il periodo fascista, anche qui si verificò quella strana situazione dove funzionari ed amministratori rimasero gli stessi, cambiando solo partito.
Non possiamo non chiederci come sarebbero andate le cose, se il PNF avesse ascoltato le rimostranze di Morace anziché tentare di nasconderle. Magari la rottura definitiva non sarebbe avvenuta. Eppure, l’inutile intransigenza del partito finì per causarne una brusca caduta, che causo l’allontanamento degli esponenti storici per colpa di una battutaccia.
Forse fù una presa di coscienza. Forse fù un abbandono della nave. Forse fù una paraculata. Ma ad ogni modo, l’importante è che sia andata così.
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