La transizione che portò alle prime elezioni municipali della città, nel 1799, non fu indolore. Almeno, non per tutti. Sebbene gli ideali giacobini portassero in seno concetti impensabili per l’epoca – l’uguaglianza degli esseri umani, lo stesso “valore” tra plebe e nobiliati, il riconoscimento di diritti universali etc. – l’ondata rivoluzionaria non perse tempo ad armarsi per potersi vendicare dei torti subiti.
La popolazione era prevalentemente povera, sottomessa ai casati ed ai nobili proprietari terrieri, per i quali lavorava in una condizione paragonabile alla schiavitù. Esisteva ancora il concetto di proprietà umana, per il quale si contrattualizzava il lavoro di un uomo o di una donna “a vita”, e, in caso di morte improvvisa, la prole diveniva automaticamente proprietà dei padroni.
Chi non viveva in queste condizioni, invece, era pesantemente gravato da tasse e imposte di ogni sorta: sugli indumenti, sul cibo, sulla casa, sugli attrezzi utilizzati per lavorare, sui prodotti lavorati e su ciò che si vendeva. Una situazione difficilmente sostenibile, che vedeva una classe sociale estremamente povera dover fronteggiare un costante aumento delle “spese dovute al re” a fronte di una classe sociale più ricca e benestante che, nonostante le spese, non pareva avere alcuna difficoltà nel sopravvivere tra lussi e sfarzi.
Anche questa condizione fu un’apripista per la rivolta giacobina del 1799, che contrappose direttamente la fascia più povera della popolazione contro quella benestante e nobiliare. A seguito della dichiarazione di indipendenza della città, nei primi giorni di febbraio, seguirono numerosi eventi violenti a danno di famiglie nobili, che vennero depredate e razziate di ogni bene. E di alcuni di questi eventi, incredibilmente, abbiamo ancora tracce e memorie.
La plebe di Cotrone, indifferente nell’animo suo alle idee di libertà, di eguaglianza e di fraternità, nomi astratti nella loro pura essenza, le quali hanno duopo d’intelletti evoluti, per essere comprese ed attuatr, alla notizia del nuovo regime, nella cui formazione non aveva punto partecipato, ed a gl’incitamenti di applaudire e di cooperare con la sua forza bruta e mantenerlo, perché le ne sarebbe venuto immenso bene, cominciò innanzitutto a pensare qual’essere potrebbe cotesto bene; e praticamente ritenne, che libertà volesse dire abolizione di ogni dovere: che eguaglianza, rescissione di ogni gerarchia; che fraternità, comunione di ogni diritto. Credè, quindi, lecito tutto; e, sobillata dai mestatori di mestiere, i quali sono sempre più attivi nei tempi anormali, diessi a sbraitare contro i ricchi, ed a richiedere la ripartizione delle loro ricchezze.
Nelle sue memorie, Armando Lucifero ricorda il particolare caso di Donna Bettina Ajerba d’Aragona, moglie di tale Don Mirtillo Grimaldi, all’epoca risiedenti in Cotrone. Sebbene avessero appoggiato la causa repubblicana, si trovarono in netta contrapposizione con la popolazione, e ne subirono diverse angherie.
Un giorno mentre la buona signora accudiva alle faccende di casa, le si presentò un cotale della famiglia Vrenna, il quale protestando eguaglianza, senza nemmanco salutarla, le chiese in moglie, pel figliuol suo, la figliuola di lei ancora tredicenne. Donna Bettina con dignità, ma con benevolenza, almeno apparente, gli rispose, che si sarebbe sentita onorata d’un tanto matrimonio; però, essendo la figliuola ancora bambina, bisognava rimandare, aspettando che fosse cresciuta.
Un altro giorno Donna Bettina vide entrare in casa sua una femmina del volgo chiamata Caterina di Angelo Muto, la quale, avvicinatasi a lei, con piglio tracotante le disse: “Donna Bettina, finora noi abbiamo calzato gli zoccoli e voi gli stivaletti; ora toccano a noi gli stivaletti ed a voi gli zoccoli”. Ed, abbassatasi fino a terra, tentò di togliere le calzature che le vide ai piedi, accennando di volerla sostituire con la sua. Ma la nobile signora non si fé punto sopraffare, e, risoluta ed ardita, mise alla porta senza più la Luisa Michel in trentaduesimo.
Questo è l’unico caso apertamente raccontato dal Lucifero, probabilmente per via di una conoscenza – o amicizia – diretta con l’interessata. Ma lo stesso narratore parla di numerosi casi del genere, spesso sfociati in vere e proprie violenze – fisiche e carnali – a danno di appartenenti alle famiglie “ricche”. Indistintamente, vennero colpiti sia i sostenitori della monarchia che della repubblica, finanche semplici commercianti che avevano fatto fortuna nel tempo, pur non appartenendo a stirpi nobiliari.
E questo, avvenne nei primi giorni immediatamente successivi alla dichiarazione d’indipendenza. Fatti ben più gravi accaddero in seguito, dei quali parlerò nei prossimi post.
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