L’antisemitismo non è mai morto, ed anche a Crotone, purtroppo, l’atteggiamento nei confronti del Giorno della Memoria sono spesso fin troppo vaghi e superficiali. Oggi come ieri, i sempre più frequenti attacchi alle minoranze, alle etnie diverse dalla nostra, alle “altre razze” con le quali condividiamo il mondo, hanno cambiato la nostra percezione del diverso. In questo senso, la giornata della memoria deve essere un monito per tutti, volto a ricordare non solo la shoah ebraica, ma anche il sistematico sterminio del diverso. Un tema incredibilmente attuale, oggi giorno.

Quest’anno, quindi, piuttosto che pubblicare una foto del recente viaggio ad Auschwitz, dedichiamolo ad approfondire l’antico legame che lega la città di Crotone con la religione ebraica. Perché l’ebraismo fu parte integrante della città per diversi secoli, e sebbene sia oramai un ricordo soffuso e annebbiato fa pur sempre parte della nostra memoria.

Partiamo da una semplice constatazione: la presenza ebraica in Italia è attestata a partire dal II secolo a.C., quando Giuda Maccabeo ne inviò un discreto numero a Roma. È impossibile ripercorrere la loro diffusione su tutto il territorio nazionale, ma sappiamo per certo che, nel periodo di massima presenza, si contavano oltre 70.000 persone di fede ebraica in tutta Italia, molte delle quali stanziate nel meridione.

La presenza ebraica a Crotone è attestata a partire dal medioevo, ma c’è chi crede che si possa dare per scontato un insediamento già in periodo romano. Di fatto, un noto episodio del Satirycon di Petronio, ovvero la cena di Trimalcione (forse ricordate meglio la scena girata da Fellini), pare si sia svolta proprio nell’antica Kroton, e più di qualcuno afferma di intravedere dei chiari riferimenti ai rituali di natura ebraica. Ma si tratta di una affermazione da prendere con assoluta cautela, per quanto affascinante.

Di certo invece c’è ben altro. A partire dal 1276, in periodo Angioino, venne redatto il primo documento che certificava la presenza di una numerosa popolazione ebraica: era il “Cedula subventionis in Iustitiariatu Vallis Grati et Terre Iordane“, un registro delle imposte dovute dalla popolazione. Vennero così documentate tutte le comunità ebraiche presenti nella regione, tra cui quella di Crotone, molto numerosa e popolosa.

Epigrafe funeraria rinvenuta a Crotone

Dove vivevano? Il quartiere ebraico si trovava nell’attuale Pescheria, lungo Via Suriano e fino alla piazzetta Sant’Angelo. Quella zona della città, all’epoca, era detta “Judéca” (Giudécca, in italiano), ed era l’unica zona dove gli ebrei potevano vivere e risiedere. Sorprendentemente, si trattava di un quartiere discretamente grande per l’estensione cittadina. Ogni città che ospitava una comunità ebraica era dotata di un apposito quartiere dove essa risiedeva, e nel crotonese quasi tutti i paesi del marchesato avevano la loro judéca (o juréca).

Già all’epoca, gli ebrei non erano considerati alla pari con gli altri cittadini. Spesso erano privati delle più basilari libertà personali, finendo per essere soggetti a coprifuochi, interdizioni da luoghi pubblici, impedimenti forzati e obblighi molto restringenti. Non potevano ambire ad alte cariche professionali, ed erano spesso soggetti a furti e ruberie autorizzati. Pur non avendo fonti in merito, non possiamo escludere che certe cose avvennero anche a Crotone.

La loro condizione di sottomissione mutò nel corso negli anni, ottenendo sempre maggiori aperture ed, in certi casi, privilegi. Nel 1324 venne permesso alla comunità ebraica cittadina di avere un luogo di culto, una sinagoga. Questa non venne costruita da zero, ma, come consuetudine, venne realizzata all’interno di un edificio già esistente, a patto che non fosse ampliata. Dov’era? Resta un mistero difficile da risolvere. C’è chi crede che fosse situata in Via Cutetto, nei pressi della chiesa di Santa Maria di Protospatariis. E c’è anche chi crede che proprio quella chiesa fu, in passato, la sinagoga.

Per oltre un secolo le cose parvero andare più che bene. Gli ebrei di Crotone parevano perfettamente integrati nella popolazione, tanto da prendere parte ai lavori di fortificazione ed alla costruzione delle nuove mura di cinta, annoverando personalità professionali ed intellettuali di spicco. Un alto documento ci viene in aiuto, ed è un “catasto” dei primi del ‘500: questo contava 450 “fuochi” in città, di cui 58 “iudey”. Vi erano dunque quanto meno cinquantotto famiglie di fede ebraica solo nella città di Crotone.

Quali erano i loro congnomi? Alcuni sorprendentemente sono frequentissimi ancora oggi (Pizzuti, Pizzuto, Ventura, Marino) mentre altri sono diventati sempre meno frequenti (Malta, Sarro, Franzo, Sala, Gallico). Non è possibile, paradossalmente, conoscerli tutti, in quanto parte dei documenti non sono del tutto digitalizzati.

Tuttavia, nonostante i sempre maggiori privilegi, con il passare del tempo la condizione ebraica peggiorò nuovamente. Sebbene il reame tollerasse la presenza ebraica per via delle ingenti tasse riscosse, il nuovo regnante iniziò un vero e proprio cambio di rotta. La “questione religiosa” divenne più importante di ogni tassa, ed il neo-re Ferdinando II d’Aragona, detto “il cattolico“, ordinò l’espulsione di tutti gli ebrei dal suo regno, compresi quelli recentemente convertitisi al cristianesimo.

La grande espulsione di massa però fu controproducente, e si ottenne l’effetto opposto: a distanza di pochi anni, buona parte degli ebrei riuscirono a ritornare in città, ottenendo addirittura una speciale esenzione dal pagamento dei tributi. Ma questo rimpatrio durò solo per pochi anni, finché Carlo d’Asburgo, da noi meglio noto come Carlo V, ne ordinò una nuova espulsione nel 1540.

Ma non tutti gli ebrei andarono via. Molti, per evitare ritorsioni, si convertirono al cristianesimo ed al cattolicesimo pagando discrete somme di denaro. Somme di denaro che facevano molto comodo non solo alla chiesa, ma anche all’università (l’equivalente del municipio di allora). Altri invece si “mimetizzarono” nella popolazione, finendo per passare inosservati ed aggirando ogni possibile bolla di espulsione. Sappiamo ad esempio che tra il 1641 ed il 1645 vennero convertiti al cristianesimo ben 22 ebrei, mentre nei documenti cittadini la loro presenza è documentata fino alla prima metà del ‘700.

Da li in poi, la popolazione ebraica (o giudea) scomparirà per sempre dalla memoria cittadina. La sinagoga, luogo di culto, tornò ad essere una comune abitazione, o un magazzino, finendo per perdere le sue caratteristiche religiose e spirituali. I riti e le fedi si “standardizzarono”, ed il nome “judéca” o “giudécca” rimarrà solo negli annali di alcuni archivi e nei documenti notarili e comunali del tempo.

Oggi la città di Crotone non vanta alcun polo ebraico, nè luoghi di culto. Paradossalmente, nonostante abbia ospitato uno dei più grandi insediamenti ebraici della regione, non mostra traccia di questo suo passato che invece è evidente in molti altri centri della jonica, ed ancor di più della tirrenica. La coltivazione del cedro, attestata nel marchesato, è andata perduta, e solo alcuni curiosi toponimi ricordano le antiche vie abitate dagli ebrei.

Ancora una volta, ci riscopriamo protagonisti della storia. Ed ancora una volta, duole attestare che della storia si conserva solo la memoria che conviene. Non esistono più “questioni religiose” o “di razze”, eppure il passato ebraico della città appare dimenticato, distante… nonostante la sua importanza.

La cosa migliore da fare, in questi casi, è quella di riscoprire e riportare alla luce quanto più possibile.

Una risposta a “Cenni sulla Crotone ebraica”

  1. […] proposito di Giorno della Memoria e tradizione ebraica crotonese: sapete che, proprio nel crotonese, si trova una delle località con il toponimo più controverso […]

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