Alla fine della fiera, dopo tante parole (comprese quelle del sottoscritto), bisogna fare ammenda: sia il TAR della Calabria che il Consiglio di Stato hanno rigettato le posizioni del MIBAC, che chiedeva lo smantellamento della tribuna amovibile dell’Ezio Scida. Quanto espresso dal CdS è chiaro: “il danno segnalato dal Mibac, sotto il profilo del pregiudizio per i reperti archeologici, appare tra l’altro esposto in maniera generica“.
Così posto, il ricorso è irricevibile. Lo stadio resta li dov’è, cos’ì com’è. C’è chi si toglie, giustamente, il dente amaro, chi strilla “io vel’avevo detto”, e chi sbandiera la sua ragione. Giustissimo. Il MIBAC ha perso, ma non è detto – ancora – che abbia definitivamente torto.
La battaglia, combattuta sul terreno dell’ipotetico danno ai reperti argcheologici, non ha avuto riscontro. I reperti li sotto sono al sicuro – così come lo sono anche quando sono tombati altrove – e senza un’adeguato progetto tanto vale tenerli nascosti. Dopo servizi, inchieste ed interviste, tutto si conclude con lo stadio che rimane li, bello e tronfio, costruito ed allargato sui resti archeologici. Almeno per ora.
Resta solo l’amaro in gola. Non tanto per il fatto di aver avuto torto, ma per il fatto che, evidentemente, “hanno ragione loro”. Lo stadio è più importante. Daltronde, è riuscito a mobilitare popolazione e giornalisti, compatti nella crociata. Una constatazione dura (durissima) da mandar giù.
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