Il centro storico di Crotone racchiude tanti piccoli segreti. Uno dei più noti è un piccolo slargo, all’incrocio tra Via Lucifero e Via Menandro (qui), una piazzetta dal nome decisamente inusuale: à nìva vecchia.
Le viuzze del nostro centro storico (le rùe o rùje, oggi strìtti) hanno infatti dei nomi sostanzialmente prevedibili. Molte strade prendono il nome da antichi personaggi della Grecia Classica e della Magna Grecia (Menandro, Democide, Enea ecc.), altre invece hanno preso il cognome delle famiglie nobili (Gallucci, Peluso, Soda ecc.), e solo alcune portano i nomi dei personaggi dell’Unità d’Italia (Garibaldi, Cavour) o meno noti (come Ducarne). Per questo motivo, un nome ufficiale in dialetto risulta decisamente inusuale.
Ma seppur in dialetto, è un nome che non lascia spazio alla fantasia. Nìva vecchia, ossia “neve vecchia”: sin dalla metà del ‘700, in questa piazza venivano commerciati ghiaccio e neve provenienti dalla Sila. Non esistevano ancora i frigoriferi, e le tecniche di refrigerazione alimentare non erano ancora molto evolute, ma si erano già diffuse tra la popolazione. La città, ancora racchiusa tra le mura aragonesi, vedeva le sue piazzette ben divise in base ai generi che vi si potevano comperare: c’era à peschiria dove comprare il pesce, à dhjazza lòrda dove comprare la carne, e à nìva vecchia dove comprare il ghiaccio.
Scrive Giovanbattista Maone nel noto libro “Crotone: Piazze, strade, vicoli e contrade fra storia e immagini“:
Il larghetto che si costituisce all’incontro tra la Via Lucifero e la Via Menandro è stato battezzato dal “popolo” Piazza Neve Vecchia, perché ivi si vendeva la neve, portata dalla Sila, durante il periodo estivo.
La neve viene descritta più volte come un “bene voluttuario”, ma oramai in largo uso tra la popolazione, anche nei ceti più poveri. Oltre che per la conservazione degli alimenti nelle cantine, era usata anche, ovviamente, come rimedio all’afa e al caldo.
Le varie amministrazioni dell’epoca incaricarono diversi abitanti dei paesi montani del prelievo e del trasporto di neve e ghiaccio, dietro compenso. Nacque un vero e proprio mercato, con tanto di “ditte” e società familiari esperte nel settore, che andò avanti dalla seconda metà del ‘700 sino ai primi anni del ‘900, quando l’avvento dell’elettricità e delle prime tecnologie alimentari resero tutto più facile. Si ritiene che il nome “nìva vecchia” stesse ad indicare proprio il fatto che la neve arrivasse in pessime condizioni, quasi sciolta, e per questo detta “vecchia”, passata, andante.
A tal proposito, è annotato un episodio curioso. Nel libro “Storia Economica della Calabria” di Giuseppe Brasacchio, viene raccontato di come l’amministrazione, nel 1801, preferì revocare l’appalto di fornitura di neve e ghiaccio ai vari incaricati perché “troppo gravosa”.
Il 2 Marzo 1801 il Sindaco riunì il Parlamento ed espose la necessità di rinnovare l’appalto della fornitura delle neve alla città, dal 1° Giugno dell’anno in corso al 31 Maggio 1802, facendo notare che i Mesorachesi e i Policastresi che solevano prendere quest’appalto, imponevano all’Università una regalia di ducati 380 ed il prezzo di grana due a rotolo con l’esatto adempimento di non fare mancare mai la neve.
Torniamo al presente: 380 ducati e due grane equivalevano a circa 17.000₤, poco meno di 9€ per un “rotolo” di neve dal peso di circa 900 grammi. Una spesa non ininfluente, che andava ad appesantire le casse pubbliche. Per questo motivo, il sindaco di allora (dal nome purtroppo ignoto) decise di revocare l’appalto di trasporto ai “paesani”: questi avevano il compito di prelevare la neve, ma non più di trasportarla fino a Cotrone. La neve veniva stoccata nei pressi di Petilia Policastro, e poi presa in consegna da due incaricati del Comune. Un intervento che permise di tagliare i costi, e di mantenere la fornitura fino ai primi del ‘900.
Oggi neve e ghiaccio sono ben lontani dalle nostre case, e le tecniche di conservazione alimentare sono cambiate radicalmente. Ma fino a non molti anni fa, dopo le antichissime tecnice di salatura, ci fù un’epoca dove decine di uomini si adoperavano per andare a raccogliere la neve in montagna, per poi trasportarla, con l’ausilio di un carro e di qualche povero asinello, fino a chi ne aveva bisogno, percorrendo oltre cento chilometri su vecci sentieri e mulattere. Tecniche rudimentali, grezze, che nonostante tutto funzionavano.
Parliamo di un’epoca finita appena un secolo fa, che continua a vivere nei nomi dei luoghi che ci circondano.
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