Fredda o calda, è sempre buona

Ok, almeno una volta nella vita ci siamo vantati con qualcuno dei nostri bei prodotti tipici. Abbiamo elencato allo sfinimento provole, caciocavalli, sasizzi, schiacciate, ma anche nduje e bergamotti (anche senza averne mai visto uno), per poi passare a saporiti primi piatti e infiniti accostamenti con carne e pesce. Che dire, abbiamo di che vantarci!

Tuttavia, nonostante i numerosi prodotti tipici della nostra regione, stiamo lentamente perdendo memoria dei veri piatti tradizionali. Se i prodotti ortofrutticoli sono stati gradualmente sostituiti con nuove specie, che di fatto hanno ottenuto il monopolio delle nostre campagne (è sempre più difficile trovare cose come l’annurco, il piretto, o anche la cicérchia), diverso è il discorso per quanto riguarda la cucina: alcune ricette continuano a tramandarsi ancora oggi (specialmente per i dolci, come le cuzzupe o i crustoli), pur subendo l’ovvia azione del passare del tempo.

Succede così che alcune ricette, spesso le più semplici e le più comuni, si consolidino a livello popolare, mentre altre vadano via via perdendosi. Un caso esemplare sono i famigerati covatelli alla crotonese, identificati come il piatto tipico per eccellenza, ma che in realtà sono una cosa piuttosto recente (ben più “antichi” ad esempio i maccheroni, i “filej“). La cucina tradizionale calabrese infatti non era composta da piatti di pasta (per quanto semplici), ma principalmente da zuppe, minestre e pastoni, da accompagnare con quel “pane nero” tipico delle famiglie meno abbienti.

Un alimento tipico onnipresente sulle tavole crotonesi era la zucca d’acqua, meglio nota come cucùzza o zùcca ciòta, e spesso identificata anche come zucca serpente. Il vegetale, di origine siciliana, appartiene alla famiglia delle cucurbitacee, ed è parente prossimo della più nota zucchina e della classica zucca gialla. Un vegetale talmente comune e di largo consumo da essersi guadagnato anche una filastrocca (che sicuramente ricorderete, in dialetto):

– Oggi ho comprato una cucuzza!

– Perché una?

– Quante ne dovevo prendere?

– Tre!

– E perché tre?

– Ma quante ne volevi prendere?

– Tutto il cucuzzaro!

In pratica, vista l’ampia disponibilità ed il basso costo (sono facilissime da coltivare), la cucùzza divenne una componente fondamentale della cucina locale. Non stupisce la sua presenza in tutte le regioni meridionali, e l’ampia varietà di accostamenti e di ricette. Si usava dire cucuzzàte o cucuzzèdde riferendosi a piatti “arrangiati” con la cucùzza, o che la prevedevano come ingrediente principale, se non l’unico assieme ad un po’ di olio e di sale. Parliamo di un piatto molto antico di tradizione contadina, rimasto attualissimo almeno fino alla scorsa generazione.

Se ve lo state chiedendo, lo ripeto: non esiste una ricetta standard per la cucuzzàta. Esistono comunque molte ricette, diverse da casa in casa, che spesso richiamano gli stessi ingredienti. Questa sorta di minestrone veniva preparato principalmente con la cucuzza, alla quale si aggiungevano anche cipolle, sedano, carote, patate, pomodori e peperoni. Dipendeva da quello che si aveva in disponibilità! Nelle grandi occasioni, si aggiungeva anche un po’ di carne, spesso gli scarti del maiale o del manzo, se andava meglio invece si usavano dei tagli più pregiati. In foto ad inizio articolo, vedete la variante con patate (tagliate rigorosamente a metà) e carne.

I grandi stufati che venivano preparati servivano a mangiare anche per diversi giorni, oltre che a riempire lo stomaco. La zuppa si può infatti conservare senza problemi anche per quattro/cinque giorni, e può essere mangiata sia calda che fredda. Era questa la grande versatilità della zùcca ciòta, vegetale oggi relegato ad un largo disuso in quanto “rendebbe poco”, data la poca polpa presente.

Eppure, come si è sempre detto in famiglia: n’àm manciàt cucùzz!

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