Superata la litania contro le celebrazioni del 25 Aprile, ecco che si riparte contro i festeggiamenti del 1° Maggio. Tra qualche vignetta e qualche battuta in tv, vi sarà sicuramente capitato, anche quest’anno, di trovarvi sommersi dai soliti, vecchi, tristi discorsetti tipo “ma che si festeggia a fare“, “più che una festa è una commemorazione“, “con tutti questi disoccupati“, ecc. ecc.
L’Italiano medio, in fondo, quando parla del 1° Maggio pensa generalmente a due cose: il giorno festivo ed il concertone. Un po’ come accaduto con la Giornata Internazione della Donna, che si è tramutata in “Festa della Donna”, anche la celebrazione delle lotte dei lavoratori si è tramutata in una “Festa del Lavoro”, tanto da rendere esemplari le parole di Leo Longaesi: “Una società fondata sul lavoro non sogna che il riposo”.
Ma il 1° Maggio è altro. Prima di celebrare “il lavoratore”, il 1° Maggio si celebrano le lotte dei lavoratori. Internazionalmente, quelle di coloro che lottarono per le otto ore di lavoro quotidiane. In Italia, le lotte per la terra, per la libera coltivazione e per la sua redistribuzione. Di convesso, si celebrano tutti coloro che hanno lottato per i propri diritti, ma si celebra anche chi ha lottato per ottenerlo, un lavoro.
La disoccupazione non è stata inventata con il neoliberismo, con l’Europa o con la globalizzazione: è sempre esistita. Ed il 1° Maggio è forse la data migliore per ricordarci, con un po’ di umiltà, che non è mai esistito un mondo che ti culla e ti coccola, servendoti tutto al momento giusto. Il 1° Maggio si celebra il fatto di dover lottare per ottenere qualcosa. La resistenza e la pazienza di chi sa di essere nel giusto. Chi non cede. Perché il diritto al lavoro non è mai stato scontato, anzi.
Questo si celebra, il 1° Maggio.
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