Questa mattina mi trovavo in bus diretto a Cosenza, assieme alle delegazione cittadina della CGIL. Molte persone, pochi ragazzi, tutti verso l’intervento di Susanna Camusso, in vista dei due referendum promossi dallo stesso sindacato. Tra una cosa e l’altra, ho avuto la fortuna di sedermi accanto ad una delle poche ragazze presenti, discutendo del più e del meno per tutto il tragitto.

Una cosa mi ha particolarmente colpito di tutti i discorsi che abbiamo fatto. Aldilà delle discussioni politiche, sociali e attiviste. Una cosa “a parte”, quando ad un certo punto si è iniziato a parlare delle comitive che si frequenta, dei rispettivi amici. Ad un certo punto, la ragazza disse: “E poi lo sai com’è, i nostri amici sono tutti avvocati o praticanti“.

Insomma, ha dato per scontato il fatto che frequentassimo compagnie simili. O per presunzione o per associazione, questa ragazza ad un certo punto ha pensato che entrambi venissimo o vivessimo in una cerchia professionale di un certo tipo. Una cosa che non mi capita mai.

In realtà, i miei amici non sono “tutti avvocati”. Qualcuno c’è, ma qualcuno. Per la maggior parte, sono persone comuni, normali, senza particolari ambizioni, che vogliono vivere e lavorare. Sono disoccupati, “neet”, fermi all’università da anni, imprenditori di loro stessi, pregiudicati, emarginati, disadattati. Per dirla come in una canzone (indovinate di chi), non sono dei professionisti di questo o quello, ma dei “master in arrangement”.

Non mi ha dato fastidio, né mi ha fatto piacere. Mi ha fatto solo pensare, il fatto che qualcuno, conoscendomi appena, mi abbia potuto fraintendere a tal punto.

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