Il Museo Archeologico Nazionale di Crotone è un vanto della nostra città. Al suo interno troviamo migliaia di pezzi esposti, che vanno dall’eta neolitica fino al periodo tardo romano, con reperti unici ritrovati in tutto quel territorio che oggi chiamiamo “crotonese”. Una collezione non indifferente, composta non solo da cocci e frammenti della vita quotidiana, ma anche da vere e proprie opere d’arte, testimoni silenziose dell’importante passato di questa terra.
Ogni tanto, il museo si arricchisce di alcuni pezzi andati perduti. Fu così con la stele di horo sui coccodrilli, uno dei pochissimi reperti egizi rinvenuti in magna graecia, ma anche con il cranio di Canìa, che assieme ad un altro reperto rischiò di passare al museo di Reggio Calabria, e, più recentemente, la meno nota museruola votiva in bronzo. Rarità assolute, che assieme ai tesori di Hera e a numerosi altri reperti costituiscono il nostro patrimonio storico.
Purtroppo però, il museo archeologico nazionale non ha la cura che si merita. Non è valorizzato, in uno stravagante mix di colpe tra la soprintendenza dei beni culturali e l’amministrazione locale. Sembra quasi che sia tenuto nascosto, segreto. Perché a meno che non siate del posto, trovarlo (e trovare delle informazioni) non è per niente facile.
Qualche esempio? Mettiamo caso che siate appena arrivati a Crotone, e vogliate visitare il museo. A meno di chiedere informazioni a qualcuno, non troverete alcuna indicazione stradale per arrivarci. Non esistono uffici o box informazioni (ne avevo già parlato), e oltre al vago segnale presente in Piazza Pitagora, non troverete altro. E l’idea di proseguire lungo Via Risorgimento, una volta giunti nei pressi del Duomo, non è delle più ovvie. Lo stesso vale anche per tutti gli altri musei, da quello di Capo Colonna a quello civico, passando per quello d’arte contemporanea e per il mai ultimato “terra e mare”.
A proposito di Via Risorgimento: sappiamo per certo che il museo si trova lungo questa via, ma chi di voi saprebbe indicarmi il numero civico? Per quanto possa sembrare una pignoleria, il numero civico è di fondamentale importanza sopratutto per chi cerca informazioni in rete. E a tal proposito, c’è moltissima confusione: su Wikipedia, il museo viene indicato al civico 121; Sul Mibact viene indicato al 14 (e posizionato male), così come anche su CulturaItalia (dove c’è il CAP antecedente al 1997, ossia 88074); Su TripAdvisor è al 10; Su Google Maps è un SNC; Sul posto, il civico di fronte è 101, quindi potrebbe essere il 102. Fate un po’ voi.
Ma non è tutto. Se è vero che abbiamo una grande ricchezza, è altrettanto vero che lo sappiamo solo noi: non siamo per niente bravi ad esporre al resto del mondo ciò di cui disponiamo. E questo vale anche per il museo archeologico nazionale, che non ha un sito web di riferimento. A dire il vero, uno lo aveva fino a pochi mesi fa, ma tra Maggio e Giugno del 2016 il sito (che era ricchissimo di informazioni) è stato “cancellato”, ed ora risulta “in costruzione“. C’è chi dice che il sito è stato cancellato proprio in concomitanza dell’avvio dei lavori dello Stadio Comunale, ma magari è solo una coincidenza.
Coincidenza invece non è la scarsissima attenzione per il nostro patrimonio storico: il nuovo sito indicato, Sabap-RC, non include ancora le informazioni su Crotone (ne sappiamo se le includerà in futuro), ed anche l’altro progetto, Virtual Magna Graecia, è andato a farsi benedire. La stessa sorte è toccata anche al museo di Capo Colonna. Dove verremo collocati è tutt’oggi un mistero.
Come facciamo a far conoscere le nostre bellezze, se non abbiamo neanche una vetrina in rete? Se non abbiamo una fonte ufficiale, del Ministero, che fornisce dati e informazioni? Come pretendiamo che un ipotetico turista, da sempre sulla bocca di tutti, trovi informazioni sul nostro patrimonio storico? Dovrà affidarsi a siti terzi, a ricerche online, perché non esiste alcun punto di riferimento ufficiale. In barba a chi da sempre si dice “attento” al territorio.
Pochi giorni fa si festeggiava l’aumento del numero di visitatori nel 2016, leggermente superiore (per quanto riguarda il solo museo) a quelli del 2015. E’ sicuramente un bel traguardo, ma non basta: le “circa 15.000 persone” in un anno sono troppo poche, e rimandano alla mente la tesi espressa da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella nel loro saggio Se Muore il Sud. Come pretendiamo di aumentare il numero di visitatori? Vogliamo farlo, o ci basta questo galleggiamento senza troppe pretese?
Gli esempi virtuosi non mancano, anche a pochi chilometri di distanza: a Cosenza, il Museo dei Bretii e degli Enotri (che è comunale) ha avviato un’interessante programma divulgativo, “Archeologia in Rete“. Da noi, invece, storici e archeologi si organizzano i propri eventi ognuno per sè, quando alla Lega Navale quando in altre sale convegni. Gli “eventi culturali” si sprecano, ma risultano essere fin troppo spesso dei meri avallamenti personali.
Insomma, il museo lo abbiamo. I reperti pure. La storia, non ne parliamo neanche. Ma ci manca tutto il resto. Ci manca la capacità di informare decentemente non solo chi visita il museo, ma anche chi ha intenzione di farlo. Ci manca la capacità di esporre le nostre potenzialità online, sorvolando sul classico binomio cibo/mare. Ci manca la volontà di mettere davvero in luce il nostro patrimonio storico. Perché il museo esiste dal 1968, e di tempo ne è passato.
Nessuno dice che con queste accortezze si riusciranno a moltiplicare visitatori e turisti, non funziona così. Però, che nel 2017 non disponiamo di una vetrina al resto del mondo, che non è possibile trovare informazioni ufficiali su cosa andare a vedere, e che nessuno sappia bene manco il numero civico del museo… beh, qualche domanda dovremmo pure farcela.
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