Durante tutto il mese di Agosto si sono susseguite diverse proteste per mano di una parte degli insegnanti neoassunti in ruolo. Quest’anno verranno assunti con contratto a tempo indeterminato 32.000 insegnanti e 10.000 ATA, e una parte di questi dovranno prendere servizio al di fuori della propria città o della propria regione. Non si tratta di una novità, ma di una realtà consolidata negli anni: non è detto che una volta entrato di ruolo tu possa subito insegnare nella tua città. Si va dove c’è posto.
La protesta contro la riforma, La Buona Scuola, era già partita lo scorso anno quando diversi gruppi di docenti si sono definiti “deportati”. Il fenomento interessa tutta Italia (compresi noi), anche se ci saranno più insegnanti del Sud che andranno al Nord e non viceversa. Solo il 55% dei partecipanti al concorso infatti ha superato i test di ammissione, e sono molte le cattedre che andranno riempite almeno per un anno.
Le proteste stanno continuando, a pochi giorni dall’inizio della scuola, e si accendono sempre di più. Qualche giorno fa in Sicilia e Sardegna gli Uffici Scolastici e i Sindacati hanno trovato un accordo, assurdo, che permette ad una parte degli aventi diritto di entrare nelle scuole locali al posto degli insegnanti di sostegno. Un abominio terribile, che crea una disparità enorme tra i docenti stessi e aumenta quella tra i dipendenti pubblici e quelli privati. Senza contare il danno che si andrà a creare sottraendo il personale di sostegno.
Si può essere dalla parte degli insegnanti in questo caso? Ovviamente no. Perché essere daccordo con le proteste di questi giorni vuol dire essere daccordo con un sistema di privilegi lavorativi che deve essere estirpato.
Io sono figlio di insegnanti, e ricordo bene quando i miei insegnavano fuori. Anche io sono stato dai nonni, e capisco bene le preoccupazioni di molte famiglie. Le capisco perché me le ricordo, quando se le ponevano i miei. Eppure, bisogna fare quello che bisogna fare.
Volendo dirla in un altro modo, ci sono numerosi insegnanti che stanno protestando perché hanno ottenuto un posto di lavoro, ma non come vorrebbero loro. Un contratto a tempo indeterminato, con possibilità di trasferimento per il nuovo anno scolastico nella propria città (o quanto meno nelle vicinanze). Si lamentano, gli insegnanti, perché si devono spostare da casa. Altrove una lamentela del genere avrebbe generato una grassa risata, ma noi siamo particolarmente attaccati alle radici, e lo capisco bene.
Se c’è una cosa che non capisco, però, è la differenza che passa tra me e un’insegnante. Qual’é? Penso che sia lecito chiederselo, dato che io non ho nessuno che mi tutela, ed ho dovuto assimilare il concetto dell’andare dove c’è lavoro, anche controvoglia, anche senza volerlo. Se vado bene, se non vado perdo l’occasione. Allo stesso modo, troviamo numerose famiglie in tutta Italia (e in tutto il mondo) che devono adattarsi, giorno per giorno, a quello che il mondo del lavoro offre. E li non ci sono proteste, striscioni o slogan, e neanche sindacati o associazioni di categoria. Li c’è la dura realtà: lo devi fare e basta.
Perché un’insegnante dovrebbe essere più tutelato di un qualsiasi lavoratore? Se escludiamo la retorica “perché é un dipendente statale”, che non vuol dire nulla dato che gli altri “statali” prendono servizio in tutto il paese, non troveremo nessun’altra giustificazione. Non c’è molto altro da aggiungere. Hanno ottenuto (finalmente) un buon posto di lavoro, stipendiato e sicuro. Gli si chiede un sacrificio.
In molti vorrebbero stabilirsi vicino casa, ma questo tratto di Italianità è anche un’ostacolo: non possono entrare di ruolo 20.000 insegnanti solo nel Sud Italia, è ovvio che verranno ripartiti. Lo stesso vale per tutte le altre professioni. Protestare per una cosa così fisiologica è svilente quanto ingiustificato. La cosa più fastidiosa però è la mancanza di elasticità di questi insegnanti: non si sforzano di capire le necessità, ma accetterebbero un compromesso osceno come quello promosso in Sicilia e in Sardegna pur di non spostarsi, a danno di altri professori e di tutto il sistema scolastico regionale. Un egoismo che non possiamo permetterci, se non in casi di reale necessità.
Ancora peggio, però, è la presunzione e l’arroganza di alcuni di questi. Come quello con lo striscione in alto, nella foto. Ha scritto: “Renzi stai sereno, tanto ci rivediamo a ottobre”. A parte la legittima presa di posizione personale, il messaggio è chiaro: noi ti boicottiamo perché non ci accontenti. Una cosa gravissima, un personalismo che influenza terribilmente il nostro apparato democratico. Un ricatto, basato sulla falsa convinzione che si stia commettendo un torto a qualcuno. Diversi insegnanti hanno aderito alla campagna social “#iovotono”, ma è un puerile gesto di ripicca, accompagnato (e cavalcato) dai soliti noti. Quando si va a votare, non si va a fare un favore o un dispetto a qualcuno, e il fatto che degli insegnanti non lo abbiamo capito è un campanello d’allarme.
La flessibilità oggi è alla base del mercato del lavoro. Non è sempre un bene, è vero, ma non è neanche un male a priori. Il punto fondamentale è che il “mercato del lavoro” interessa tutti i lavoratori, indipendentemente dal lavoro svolto. Per qualcuno, come me, essere flessibile significa anche dover accettare di spostarmi in Italia e all’Estero per lavorare. Trovare lavoro come informatico in Calabria è una bella sfida, ma se voglio realizzarmi in questo campo è un sacrificio che devo fare. E come me, tanti altri ragazzi, giovani e meno giovani, specializzati in altri settori. Perché un insegnante non dovrebbe farlo?
Certo, spostarsi non è sempre facile. E’ un costo, non per tutti è semplice, e in alcuni casi è davvero impossibile. Ma ci devono essere delle motivazioni reali, tangibili, non solo le lamentele riguardanti la casa, il paese e la famiglia. In quel caso, si proceda a non far spostare il docente. Tutti abbiamo il diritto di vivere e lavorare “a casa”, ma questo non vuol dire che tutti avremo quello che vogliamo. Anche in questo caso, si tratta di un’equazione semplicissima, elementare.
In conclusione, mi preme dire una cosa. La difesa e la tutela del lavoro non è sempre la difesa dello stato attuale delle cose. Lo ripetiamo sempre, quotidianamente, per la politica. Beh, è lo stesso anche nella pubblica amministrazione. Ci sono tante, troppe cose che vanno cambiate, aggiornate, portate al passo con i tempi. In alcuni casi, come questo, si sta difendendo un privilegio che non dovrebbe più esistere. Il concetto, infatti, è semplicissimo: vieni messo a lavorare dove c’è posto. Tutto qui.
I sindacati che hanno appoggiato questa iniziativa in Sicilia e in Sardegna, con la complicità degli Uffici Scolastici, stanno compiendo un’azione al limite della correttezza. Assurda, insensata. Un capriccio. Spero vivamente che venga bloccata la proposta, perché altrimenti sarebbe un triste fallimento.
Detto questo.. L’estate sta finendo, arrivau settembri e la scuola sta per iniziare. E questa volta, sono gli insegnanti a non avere nessuna giustificazione per la loro condotta.
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