Siamo una città di mare, ma non per questo vuol dire che bisogna fermarsi necessariamente alle spiagge più blasonate giusto per prendere il sole o per stare sul lettino. A me, per esempio, piace molto girare. Adoro le spiagge selvagge e inaccessibili, quelle che per arrivare devi farti 10 minuti di cammino in un campo, nell’erba alta, o una ripida discesa nell’argilla. Stare nella natura, insomma, osservarla, conoscerla e riconoscerla.
Sebbene il Crotonese sia rinomato proprio per avere delle spiagge di sabbia, ci sono dei luoghi dove ci si può godere una bella spiaggia di ciottoli. Non è proprio il massimo per i piedi, è vero, ma hanno un fascino tutto loro, un po’ come le scogliere. I sassi che vanno a comporre la spiaggia non sono tutti uguali: proprio come per la sabbia, hanno origini diverse.
Il territorio del Crotonese è caratterizzato principalmente da rocce sedimentarie, una su tutte l’arenaria, ma anche da numerose rocce metamorfiche che si possono rinvenire facilmente su questo tipo di spiagge. Non è raro rinvenire delle pietre tutte bucherellate, con molti fori, che spesso vengono riconosciute come pietra pomice. Ma la pomice è una roccia magmatica, ossia derivata da colate laviche o da esplosioni vulcaniche, decisamente incompatibile con il nostro territorio.
Per fugare ogni dubbio, abbiamo un testi infallibile: data l’elevata porosità, il pomice (che è un gruppo di rocce) è l’unica roccia in grado di galleggiare. Se trovate dunque un sassolino simile a quello che vedete in foto, non vi basta che immergerlo: se andrà a fondo, non si tratta di pomice.
Ma allora, che cos’è?
Potremmo paragonare queste rocce ad una casa abbandonata. In questo specifico caso parliamo di clasti, ossia di sassi che in tempi piuttosto antichi si sono staccati da una roccia più grande, per poi finire in mare ed essere modellati dalle correnti e dall’erosione.
In mare, questi sassi sono stati colonizzati da un tipo di spugna marina, la Cliona, un essere vivente molto particolare, sprovvisto di tessuti e di organi, che vive semplicemente filtrando l’acqua. Esistono molte specie di questa spugna di mare, e una buona parte sono diffusi nel Mediterraneo e nell’Adriatico (si possono osservare in vita nella zona di Scifo, ad esempio, principalmente con colorazioni rosse/violacee).
Una delle caratteristiche di questo essere è che una volta attaccatosi (che sia uno scoglio ancorato al suolo o un sassolino che vaga nell’oceano) produce una serie di enzimi e succhi acidi che scavano, letteralmente, la roccia. Non è ancora ben chiaro il perché questo accada, dato che l’animale non ha particolari pretese o funzioni (non ha organi, non conserva cibo, non deve attaccare e non viene predato), ma sappiamo che questi succhi reagiscono particolarmente bene con il calcare, e creano nel corso degli anni queste particolari cavità, visibili dall’esterno come un semplice forellino.
Con il passare degli anni, il sasso vaga per il mare, e magari finisce al di fuori dell’acqua, dove in pochi giorni l’essere muore e si decompone. Nell’arco di qualche settimana, non rimarrà più nulla della spugna di mare, ma solo questo “scheletro”. A parte questi specifici casi, dei buchi nei sassi si possono formare anche per a causa dell’erosione marina, o per via della decomposizione di un organismo sommerso da altro materiale sedimentale.
Quindi, se pensavate di curarvi dei calli con il pomice, dovrete ripiegare sul vecchio metodo locale: un bel pezzo di arenaria, piatto e asciutto. Oppure, comprare del vero pomice: la cava più vicina (e più famosa) è quella dell’Isola di Lipari, non molto lontano da noi.
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