Pitagorici che celebrano il nuovo giorno

La Scuola Pitagorica non era propriamente una scuola, almeno per i nostri canoni moderni. Proviamo ad immaginarcela: non era un singolo edificio, bensì una comunità piuttosto vasta, con all’interno piccole abitazioni, templi, palestre e zone dove coltivare. Era una comunità separata dalla città di Crotone, anche se ne viveva a stretto contatto. All’interno di questa potevano risiedere solo i discepoli, mentre gli iniziati mantenevano la loro vita all’esterno della comunità.

La scuola non aveva solo la funzione di istruire i seguaci sui concetti cari a Pitagora, ma aveva anche una funziona politica. La scuola di Crotone, per quanto fosse la prima e la più famosa, non era l’unica: delle “sedi distaccate” erano presenti in tutti i grandi centri della Magna Graecia, come Reggio Calabria e Sibari, arrivando addirittura a Napoli e Roma! Rappresentava una sorta di movimento del passato.

Ma dov’era la Scuola Pitagorica di Crotone? Beh, nessuno lo sa con certezza. Stando alle poche e vaghe testimonianze, questa risiedeva su un colle vicino alla città di Crotone. Ci sono diverse colline nelle vicinanze, alcune ancora oggi intatte, mentre altre ormai sono state urbanizzate, per cui ogni ipotesi è un’azzardo. C’è chi propone il colle di Santa Lucia, anche se oggi si sa che i resti li presenti riguardano le vecchissime mura difensive della città.

Torniamo a noi. Abbiamo capito che la scuola era una comunità piuttosto grande, e che all’interno vissero e lavorarono stabilmente molte persone. E, sopratutto, ora sappiamo che questa era separata dalla città di Crotone. A quanto si dice, vi era un solo ingresso per accedervi. Non ci è dato sapere se questa fosse protetta da mura, fossi, staccionate o altro, ma pare che l’ingresso, in ogni caso, fosse solo uno. Un solo sentiero.

Si tramanda che quest’unico ingresso fosse corredato di una lastra di marmo piuttosto grande, con delle iscrizioni in greco. Dopo la caduta della scuola, la comunità venne saccheggiata, e la lastra finì nelle mani dell’imperatore Marco Aurelio Antonino. Grazie a lui, la lastra sarebbe stata tradotta in Latino, e, di conseguenza, oggi possiamo sapere cosa vi fosse scritto, anche se di questa lastra se ne sono perse le tracce.

Una vecchia traduzione, presente nel libro del 1691 “Della Calabria illustrata” di Giovanni Fiore, riporta il testo come:

Quello, che non sa quello deve sapere, è Bruto tra li Bruti;

Quello, che non sa più di quello che gli bisogna, è Uomo tra li Bruti;

Quello, che sa ciò, che si può sapere, è Dio tra gl’Uomini;

Nel libro del 1990 “Crotone nella Magna Graecia“, scritto da La Rizza per “Edizioni Calabria Kroton” è presente una traduzione più italianizzata:

Chi non sa ciò che deve sapere è bruto tra i bruti;

Chi non sa più di quello che gli abbisogna è uomo tra i bruti;

Ma chi sa tutto ciò che si può sapere è un Dio fra gli uomini.

Non so come, ma qualcuno è arrivato a interpretare l’iscrizione come “Che il profano non osi entrare in questo posto“, ma questa formula è in evidente contrasto con le uniche trascrizioni arrivate fino ad oggi, per cui da escludere. Anche se, è bene ricordare, che non esistono fonti certe su Pitagora.

Il significato di queste frasi non è misterico o astratto, anzi, è quasi un monito. Come molti culti misterici, questi si ritenevano possessori di moltissime verità, se non di tutte. Per cui, questa iscrizione, probabilmente, valeva come un avvertimento contro l’ignoranza ed un invito alla conoscenza. E non necessariamente alla conoscenza mistica professata dai Pitagorici di più alto livello, ma anche la conoscenza minima per non essere al pari “dei bruti”, o delle bestie.

La Scuola Pitagorica fu fondata (verosimilmente) intorno al 530 a.C., quindi oltre 2500 anni fa. Un bel salto, vero? Eppure, queste parole suonano incredibilmente attuali. Anzi, forse indicano una cosa che spesso si sottovaluta: l’essere umano ha questa tendenza a fottersene. E’ stato così in ogni periodo storico oggi conosciuto, e non sono pochi gli scrittori che paragonano gli ignoranti ai bruti o alle bestie. E, sempre allora come oggi, il concetto di informazione veniva veicolato per aumentare i propri seguaci, ieri in comunità filosofiche, oggi in partiti o movimenti politici.

Continua a mancare, anzi, ad essere in costante minoranza, l’informazione a se stante. Non quella utile per un fine pratico, ma quella utile ad allenare la mente, che ci porta a conoscere fatti e storie di secoli e millenni fa, e che ci fornisce un metro di giudizio superiore a quello delle bestie, dei bruti, e quindi degli ignoranti. Questo metro di giudizio dovrebbe confermare l’evoluzione dell’uomo, che è frutto di ciò che era in passato, ma con l’aggiunta della consapevolezza della sua stessa storia. Ma questa è un’altra storia.

Non possiamo sapere per certo se questa lastra di marmo sia davvero esistita, così come non sappiamo se questa fosse posta all’ingresso della comunità o all’ingresso di un tempio. Tuttavia, l’antico monito ha un’importanza incredibile, e dovrebbe essere maggiormente adottato a stimolo della moderna comunità, tanto quella globale quanto quella di Crotone.

Una risposta a “L’iscrizione all’ingresso della Scuola Pitagorica”

  1. […] serve celebrare la grande figura di Pitagora. Sono sicuro che ricorderete tutti la famosa iscrizione all’ingresso della scuola, i suoi versi aurei, i vari simboli, ed anche la sua strana avversione alle fave. Senza contare i […]

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