Pitagora nella Scuola d’Atene

Dopo la pubblicazione del libro “L’assassinio di Pitagora“, l’interesse di molti amici e concittadini si è rivolto alla figura di Pitagora. Pitagora, questo sconosciuto. Sappiamo tutti che fondò una scuola a Crotone, che non aveva un buon rapporto con le fave e che il suo teorema è piuttosto importante. Ma della sua figura storica si sa molto, molto poco.

Trovandomi improvvisamente a Crotone, posso approfittare della mia “piccola” libreria per rispondere alle domande più frequenti di questi ultimi mesi, per fare un ripasso e, sopratutto, per pubblicare alcune cose decisamente importanti sulla sua figura.

Oggi, cominciamo con I Versi Aurei, conosciuti anche come “I 34 comandamenti Pitagorici“, fondamentali per capire quale fosse lo stile di vita auspicato e usato dai Pitagorici.

Prima di cominciare, però, una precisazione: i Pitagorici non lasciavano scritti. Per questo motivo, tutto il materiale scritto e arrivato ad oggi, per quanto possa essere fedele, non è considerato completamente attendibile. Compresi questi versi.

Prima di procedere con il testo, è bene ricordare un’altra cosa: di questi versi aurei esistono diverse traduzioni. Il testo qui sotto è la traduzione di G. Pesenti, presa dal libro “I Versi Aurei, i Simboli, le Lettere“, Edizioni Brenner 1997. Il testo raccoglie molte informazioni utili, e gli scritti sono stati tradotti dal greco. Se vi siete mai cimentati in una traduzione da una qualunque altra lingua, saprete bene che non si tratta di un lavoro facilissimo, dove esiste un solo metodo da seguire. Le traduzioni differiscono da persona a persona, pur mantenendo lo stesso significato anche se espresse con termini diversi.

Dico questo perché, come capirete facilmente, molte di queste frasi sono decisamente semplificabili, e si sarebbero potuti usare termini più semplici e di uso comune. Esistono anche delle traduzioni più alla mano, riadattate in linguaggio comune, ma ho preferito questo testo proprio per il filo diretto della traduzione Greco-Italiano.

Prima di tutto venera gli dei immortali a seconda che dalla legge divina sono ordinati, e serba il giuramento, poi onora gli illustri eroi.

Rendi pure onore ai genii terrestri, operando secondo la legge.

Onora i genitori e i parenti, degli altri con la virtù ti farai amico chi ottimo sia.

Cedi alle dolci parole ed agli utili fatti.

Né odierai per lieve fallo l’amico tuo, per quanto puoi; poiché il potere abita vicino alla necessità.

Tali cose imprimi nella mente; e avvezzati a frenare queste altre: prima il ventre, e il sonno e la lussuria e l’ira.

Non farai cosa turpe né con altri né di per te: e più che di tutti gli altri abbi vergogna di te medesimo.

Poi osserva la giustizia in fatti ed in parole.

Né abituarti ad agire in alcuna cosa senza ragione.

Ma considera come è destino per tutti morire.

Le ricchezze amano ora di affluire ed ora di andare in fumo.

Quei dolori che per volontà dei celesti soffrono i mortali, quale sia la tua fortuna, soffri in pace, né sdegnarti.

Conviene anche arrecar loro medicina, per quanto ti è dato. E di ciò pure ricordati, che ai buoni non molti di tali dolori comparte il destino.

Agli uomini molte parole buone e cattive escon di bocca, dalle quali non lasciarti commuovere né traviare; ma se qualcosa di falso si dica, modestamente cedi. E ciò che ora dirò, si osservi in ogni cosa: nessuno ti seduca né con parole né con fatti a fare o dire cosa che non sia pel tuo meglio.

Consigliati avanti di agire, affinché non seguano funeste conseguenze.

Fare o dire sciocchezze è cosa d’uomo misero.

Ma compi cose onde in seguito non ti abbia a pentire.

Non fare alcuna di quelle cose che non sai; ma apprendi quanto a te si addice, e così fornirai una dilettevolissima vita.

Non è bello negligere la sanità corporale, ma serba la misura nel bere e nel cibo e nell’esercizio; e misura dico quel tanto che non ti cagionerà poi dolore.

Avvezzati ad una monda maniera di vita senza delizie e guardati di operar quello che suscita invidia.

Non spendere fuori di tempo, come chi è ignorante di ciò che è bello, ma neppure sii illiberale. In ogni cosa il meglio è la misura.

Fa quelle cose che non ti facciano male, e pensa prima di agire.

Né concederai sonno ai molli occhi prima che non abbi riandate tre volte ciascuna delle azioni che il dì facesti: in che peccai? Che feci? Quale mio dovere non compii? E incominciando dal primo atto, passa a tutti gli altri, pentiti dei mali commessi e dei beni poi rallegrati.

Affaticati dintorno a queste cose, queste medita, queste devi amare, queste ti guideranno su le vestigie della virtù divina.

Sì, per colui che rivelò alla nostra anima la quaternità, fonte dell’eterna natura. Accingiti all’opera quando avrai supplicati gli dei che abbia buon fine.

Se in queste cose ti frenerai, conoscerai degli dei immortali e degli uomini mortali la essenza, e come ogni cosa si incammina e come si arresta, e conoscerai per quanto è possibile la natura in ogni cosa a se stessa eguale.

Così né tu spererai ciò che non è da sperare né alcuna cosa ti resterà ignota.

Conoscerai che gli uomini di propria scelta si procacciano i mali, infelici che, stando loro appresso i beni, non li guardano né intendono; e pochi conoscono la liberazione dei mali.

Tale destino offende le menti dei mortali: essi quasi ruote or qua or là sono sospinti, soffrendo mali infiniti.

Poiché la triste contesa loro compagna ingenita li rovina senza che se ne avvedano, la quale non conviene seguire, ma cederle e fuggire.

Zeus padre, tu libereresti tutti da tanti mali se a tutti rivelassi quale sia il loro demone. Ma tu confida, poiché divina è la stirpe degli uomini, ai quali la sacra natura proferisce e mostra ogni cosa.

E se tu vi avrai parte, ti frenerai nelle cose che io ti prescrivo e con tal medicina libererai l’anima da queste pene.

Astieniti dai cibi, che dicemmo, nelle lustrazioni e nella liberazione dell’anima facendo retto giudizio. E considera ogni cosa dando la prima sede alla mente, ottima auriga.

Ma se lasciato il corpo salirai al libero etere, sarai immortale dio, incorruttibile né più mortale.

Noterete sicuramente molte analogie con delle frasi di uso comune, così come con diversi modi di pensare ben radicati nella popolazione. Su un blog sono stati addirittura messi in relazione i “comandamenti” Pitagorici con quelli della Bibbia, prendendo a riferimento dei passi del testo sacro decisamente simili. Come detto poco sopra, il testo scelto dall’autore dell’articolo non è lo stesso, per cui le traduzioni sono leggermente diverse, sebbene esprimano lo stesso concetto.

Questi Versi Aurei erano (grossomodo) una sorta di “regolamento” non proprio scritto al quale i Pitagorici dovevano sottostare, sopratutto se volevano ambire a posizioni privilegiate all’interno della comunità. Questi vivevano al di fuori della società dell’epoca, amministrando la quotidianità con regole proprie. Oltre ad una serie di regole morali, come molte di quelle scritte qui sopra, questi sottostavano anche ad una serie di regole piuttosto dure che riguardavano i costumi, i consumi ed il modo di porsi con gli altri. Si pensi anche solo al fattore alimentare: un Pitagorico non avrebbe mai mangiato un pasto abbondante, proprio per via dell’autolimitazione imposta. Non sono queste le uniche regole, anzi, ne esistono molte altre che vedremo più avanti.

Non possiamo dire con certezza che queste fossero davvero le regole che condizionavano la vita dei discepoli, ne tanto meno possiamo sapere se questi ultimi le rispettavano per davvero. Tuttavia, il testo ci fornisce quanto meno un’idea di come erano visti i Pitagorici da fuori, quindi la considerazione che ne avevano i primi che si interessarono a studiarli e cosa se ne diceva. Il testo che ci fornisce I Versi Aurei risale al I Secolo a.C., un periodo piuttosto distante dalla fine della scuola e del suo pensiero, e quindi potenzialmente influenzato.

Ad ogni modo, avremo modo di approfondire anche con altre curiosità, e di spulciare anche qualche curiosità presa direttamente dal libro. L’importante è interessarsi alla propria storia 😉

Una risposta a “Pitagora e “I Versi Aurei””

  1. […] Sono sicuro che ricorderete tutti la famosa iscrizione all’ingresso della scuola, i suoi versi aurei, i vari simboli, ed anche la sua strana avversione alle fave. Senza contare i numerosi progressi […]

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