Ricostruzione della massa franante
Ricostruzione della massa franante

Aggiornamento: apprendiamo che il 14 Maggio 2018 è stata pubblicata la conclusione dello studio sulla rivista Scientific Report. È stata confermata la teoria dello strato di salgemma, e lo scivolamento attuale è stato quantificato in circa 1 millimetro all’anno. Nulla di preoccupante o catastrofico, ma comunque un fenomeno da tenere sotto controllo.


Che il sottosuolo al largo delle coste del Crotonese non fosse messo bene, lo sapevamo già tempo. Argilla, sacche d’aria, trivelle, ipotesi su grotte e caverne sotterranee a diversi chilometri dalla spiaggia, e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia, fino ad oggi erano, per riprendere un nostro simpatico proverbio, cchiù ì vùci cà ì nùci.

Ok, le trivellazioni e le perforazioni del terreno non aiutano, ne sulla terra ferma ne in alto mare. Ma a quanto pare il problema più grande è un altro. E con le trivellazioni non centra nulla.

Intorno alla fine di Settembre 2013, è stata individuata una “mega-frana” sottomarina, stimata nelle dimensioni di circa 1000 km quadrati. Una frana immensa dunque, che però avviene in silenzio, nel mare, senza destare troppi sospetti. Tuttavia, non può non venirmi in mente che questa estate era stata posta l’attenzione su Capo Piccolo, che stava franando in mare a poco a poco. E non può non venirmi in mente anche il promontorio di Capo Colonna.

Più che una frana, potremmo definirlo uno slittamento del terreno. Detto in parole semplici, stiamo scivolando in mare. Ci stiamo distaccando dalle montagne della Sila, ed il nostro terreno scende, a poco a poco, nel Mar Jonio. Il tutto, ad un ritmo di circa 8 millimetri l’anno.

Lo studio è iniziato nel 2006, a seguito dell’installazione di diverse stazioni GPS sul territorio crotonese. Queste stazioni hanno un compito preciso, monitorare gli spostamenti del terreno. Dal 2006 al 2013, l’unica anomalia è stata riscontrata presso la stazione GPS di Capo Colonna: mentre tutta la regione si sposta verso NNE ad una velocità di circa 5 mm all’anno, questa stazione registra un movimento verso NEE ad una velocità di circa 8 mm all’anno. Detto in parole semplici (ed aiutandosi con l’immagine di sopra), c’è una zona che sta andando per i fatti suoi anziché rimanere ancorata alla Calabria.

Sebbene la differenza di traiettoria impercettibile e gli spostamenti minimi, il problema è reale. A seguito di ulteriori ricerche e controlli infatti, durati anni, è venuto fuori un aspetto decisamente più tangibile: una enorme frana. Dove? Sott’acqua. E dove si trova? Beh, non è una frana che si può indicare con un dito, in quanto ricoprirebbe un’area di circa 1000 km quadrati. Più che una frana, si tratta di un massiccio smottamento del terreno, che, piano piano, continua a scendere nelle profondità del Mar Jonio. Sempre nell’immagine si può notare la vasta area interessata, che potremmo sintetizzare come “da Capo Colonna fino a Le Castella“. Insomma, tutta l’Area Marina Protetta.

Ma a cosa è dovuto tutto ciò? Mentre il movimento verso NNE è dovuto al movimento della placche (in tal caso, quella Africana e conseguente miniplacca Ionica), lo scivolamento notato dipende da più fattori. Ogni crotonese sa, in qualche modo, che la città non è propriamente stabile. Costruita su sabbia e argilla, guardando dal lungomare le case costruite sui calanchi verso Capo Colonna i commenti sono sempre gli stessi. Tuttavia, il nostro sottosuolo nasconde un’insidia ben più grande.

Tra 1 e 2 km di profondità è stato individuato uno strato di rocce saline (strati di sale), risalenti all’età Messiniana (Miocene), ossia ad un periodo compreso tra i 5 e i 7 milioni di anni fa. In questo periodo, si ritiene che lo Stretto di Gibilterra si sollevò, chiudendo di fatto tutto il Mediterraneo come se fosse un enorme lago. Senza ricambi di acqua, il Mediterraneo divenne un bacino evaporitico, il che contribuì a formare enormi strati di sedimenti minerali. Giusto per curiosità, l’era geologica si chiama Messiniana proprio perché presso Messina furono rinvenuti i primi depositi di evaporite che permisero l’identificazione di questo avvenimento. Questi sedimenti sono comuni in tutto il Mediterraneo.

Nel corso degli anni (milioni di anni) ci furono moltissimi cambiamenti del suolo e delle coste. Il livello del mare si alzò e si abbassò diverse volte, fino ad arrivare alla storia più recente. Sostanzialmente, i sedimenti che compongono il nostro attuale sottosuolo (prevalentemente arenaria e rocce argillose) si poggiano su un più antico basamento composto di sale. Non il massimo in fatto di stabilità.

Non è tutto: gli studiosi ipotizzano che a causare questo smottamento non sia il movimento delle placche, bensì il loro sollevamento. Le placche infatti non si muovono solo in “2D” su un piano, ma possono anche scendere o salire di diversi km. La Calabria si trova in una zona contesa, a cavallo tra la placca Africana e la placca Eurasiatica. Il confine tra le due grandi placche non è una semplice linea retta, ma una sorta di trincea, nella quale si generano numerose mini placche. Nello specifico, sarebbe proprio la mini placca Ionica ad arrecarci il problema: nel corso del tempo, sarebbe salita di molto, creando un dislivello che ha resto instabile il fragile equilibrio del nostro sottosuolo. Gli strati di sale non riescono ad avere aderenza sul terreno, che dunque, spinto dal dislivello, scivola verso il basso. In mare.

Secondo una prima ipotesi, questo processo non è iniziato da poco, ma quanto meno va avanti da diverse migliaia di anni. Una placca per spostarsi non ci mette un pomeriggio. Il fenomeno è sotto osservazione da poco tempo, ma è già importante essersene resi conto. Quest’area è dunque da considerarsi instabile, a rischio. Eventuali terremoti potrebbero compromettere la stabilità già precaria del terreno, come anche una massiccia infiltrazione d’acqua. Essendo un’area molto vasta, e comunque abitata da non poche persone, la situazione non è da prendere alla leggera.

Quest’anno sono stati diversi gli appelli degli abitanti di Capo Rizzuto, che facevano notare come il promontorio stia lentamente franando in mare, con vere e proprie spaccature nel terreno. Alla luce di queste nuove scoperte, non fare un collegamento sarebbe grave.

Qualcuno si è spinto anche oltre, affermando che lo scivolamento potrebbe interessare tutto il territorio dalle pendici della Sila fino al mare. Uno scenario inquietante, che rievoca le immagini della monumentale frana di Maiorana.

Lo studio è stato realizzato e pubblicato da diversi studiosi Italiani, e, se volete consultarlo, dovrete acquistarlo dalla rivista incaricata della pubblicazione. Le informazioni di cui disponiamo comunque sono già abbastanza per rendersi conto della situazione, ed anche per comprenderla.

Detto in soldoni: c’è un consistente pezzo della nostra costa che sta lentamente scivolando in mare, a causa del dislivello creato da una placca ed alla poca aderenza che ha il suolo su delle antichissime lastre di sale. Sebbene l’appellativo sia “mega-frana”, sarebbe meglio parlare di un mega spostamento del terreno verso SSE.

Gli studi stanno proseguendo, e lo slittamento è tenuto sotto controllo. Tuttavia, è bene essere a conoscenza del possibile rischio, sopratutto in una zona ad alto rischio sismico come la nostra. L’uomo, in certi casi, può fare poco e niente.

6 risposte a “Quella silenziosa frana sottomarina”

  1. […] che si è verificata in una zona interessata da una grande frana sottomarina, della quale anche io avevo parlato l’anno scorso. L’abbiamo sentita in tutta la regione, l’hanno sentita anche i […]

  2. […] naturali e atmosferici, come l’erosione del vento e, sopratutto, dell’acqua, e quella silenziosa frana sottomarina che procede. Il mix che ci si pone davanti agli occhi è questo: un’angolo storico di non […]

  3. […] leggendo le conclusioni dello studio riguardo alla “mega frana” sottomarina. Si tratta di un report completo ma leggero, composto da appena 11 pagine scritte – […]

  4. […] quindi necessario predisporre un sistema di monitoraggio non solo per la megafrana, che potrebbe essere il fenomeno meno rilevante, ma soprattutto per il controllo del dissesto […]

  5. […] più, saranno completamente erose. La stessa sorte toccherà a noi, alla nostra costa che sta lentamente scivolando a mare. Non lo possiamo evitare. Ma abbiamo un altro dovere, un altro compito. Possiamo, e dobbiamo, […]

  6. […] Molti sono schierati a spada tratta dalla parte del “Si”, per non meglio specificati “motivi ambientali”. Altri, vogliono dare un segnale forte al paese, come fù con il nucleare, e pensano che valga la pena stoppare questi impianti in favore di nuovi e più efficenti impianti di energie rinnovabili. E’ una posizione che mi affascina molto, ma non è detto che accada: potrebbe essere più conveniente, aimè, acquistare dall’estero piuttosto che spendere in nuovi impianti rinnovabili. Attualmente, il rinnovabile copre, ancora, meno dell’8% del fabbisogno nazionale, e non solo perché è ostacolato. Altri ancora temono per eventuali incidenti, in modo simile a quelli per le centrali nucleari. Altri poi si preoccupa dell’inquinamento del mare, e delle fuoriuscite di gas nell’acqua, con conseguenze per gli organismi viventi, problema esistente ma spesso sopravalutato. Poi, ci sono quelli che pensano che la trivellazione o l’estrazione dei gas causi delle piccole scosse di terremoto, ipotesi affascinante ma ancora tutto tranne che dimostrata. E infine, ci sono i cittadini di Crotone, che conoscono la storia delle “tre sacche sotto la città”, che si starebbero svuotando e finiranno per far sprofondare la città. Una versione più tragica di quello che sta già accadendo. […]

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